DANZATERAPIA IN QUARANTENA
“Che vuoi che sia, il corso del mondo è un bambino che gioca”, disse il poeta.
La quarantena ci ha catapultati in uno spazio senza tempo. Come lo ha fatto? Togliendoci alcune delle sue colonne portanti: l’orario lavorativo, con il suo ritmo, e la meta. “Verso dove si va?”, ci domandiamo, e soprattutto, “quanto durerà?”. Durata e finalità sono sconosciute. Non sappiamo quanto dureranno i cambiamenti delle abitudini per evitare i contagi, nel rischio, nell’angoscia, di fronte alla possibilità di perdere i nostri anziani e i nostri cari. Non sappiamo inoltre come sarà il futuro. E questo mina la linearità cronologica e il tempo della produzione. Infatti, si sentono il rallentamento e il letargo di una modalità di “ritiro spirituale”.
La quarantena ci ha gettato nello stress dell’incertezza, della sospensione, che è uno degli stress più difficili da tollerare. Ci siamo trovati all’interno di un processo che non sappiamo verso dove si diriga, e ci muoviamo minuto dopo minuto aspettando un decreto che ci dia indietro la nostra normalità.
Tutti oggi ci troviamo come gli antichi Greci, a scoprire un altro volto del tempo, il dio Kayròs, che rappresentava un aspetto specifico del tempo: il momento opportuno. Questo è un momento opportuno. Ma opportuno per cosa?
Per ripristinare il rapporto con Kronos, la modalità di relazione che abbiamo con il tempo. In fin dei conti la creatività, la funzione immaginativa e la creazione artistica sono risposte all’angoscia dinanzi alla percezione della nostra fragilità e alla consapevolezza del tempo della vita e del suo limite. Sono modi di evirare il tempo e percepire altre dimensioni: abitare lo spazio, qualificare il flusso del vivere quotidiano, ridimensionare il peso delle nostre azioni.

Mettendoci al lavoro online in questo periodo ci siamo trovati a dover ripensare il gioco, l’immaginazione, l’uso del web, il tempo e lo spazio. In questo articolo presentiamo una sintesi dei contenuti emersi nei workshop.
Gioco e immaginazione
Il gioco è creazione di mondi fantastici. Il gioco è un’attività immaginativa, è la capacità trasformativa del reale. Unisce il mondo astratto e invisibile, al mondo reale. Il mondo reale dato dallo spazio scenico dove si sviluppa il gioco e la materia del corpo e degli oggetti.
Il gioco è la limpida facoltà di vedere nelle cose le loro potenzialità inespresse, la loro seconda natura, il loro doppio, la loro ombra in una dinamica plasticità.
Giocare, danzare, creare, hanno in comune l’accettazione dell’effimero, della gratuità, della vacuità, della mutevolezza passiva.
Nella danzaterapia il gioco proposto è una forma primitiva di reverie alla quale l’approccio artistico detta le tecniche. Questo gioco non ha pretese estetiche, né trasformative della realtà, piuttosto il desiderio di sentire il piacere di muoversi mentre dura il gioco, o la musica. Il gioco spontaneo è una forma primitiva, originaria, primaria, selvaggia e arcaica. Il gioco guidato, che ha come obiettivo lo sviluppo della sensibilità artistica, non si allontana da questo, solo aggiunge un abbozzo di condizionamento culturale dato dalla musica e dalle morbide regole del movimento.
Il bambino che gioca, come l’adulto che danza, contiene in sé due archetipi potenti: l’eterno fanciullo e il creatore divino, Ermes.
Nel 1940, Jung scrive:
“Il motivo del fanciullo (il Puer) non soltanto rappresenta qualcosa che è stato e che è passato da molto tempo, ma anche qualcosa di attuale, […] un sistema che funziona nel presente ed è destinato a compensare e rispettivamente rettificare in maniera significativa le inevitabili unilateralità e stravaganze della coscienza. […]
Ad aggiungere al gioco l’arte e la musica, è il piccolo Ermes. L’Inno omerico ci dice che il giorno stesso della sua nascita, a mezzogiorno, “varcando la soglia dell’antro della volta sublime… trovò una tartaruga e ne trasse gioia infinita: in verità Ermes fu il primo a creare una tartaruga canora”. Poi l’Inno racconta che ne fece una lira e cantò la prima canzone che sia mai stata cantata. Poi mangiò cibo rubato al fratello Apollo e, una volta scoperto, inaugurò – con il suo gioco – l’arte di fare finta: “caro fratello, non sono stato io a derubarti. Come potrebbe un neonato essere capace di tale impresa”, disse. E sostenendo così il personaggio ingenuo recuperò il rapporto fraterno facendo dono della lira ad Apollo.
Nietzsche idealizza il bambino all’inizio di “Così parlò Zarathustra”. Spiega che lo spirito dovrà transitare tre trasformazioni: cammello, leone e finalmente bambino. In questo gioco trasformatore si integra il dovere e il volere, per arrivare al creare, il diritto all’attività ingenua e puerile.
Così il bambino di Nietszche è un piccolo Ermes che vive nel gioco e la creatività, attività condannata da Apollo così come la scienza rimprovera l’arte, come il politico chiude il teatro perché di secondaria necessità nel momento dell’emergenza sanitaria.
Il gioco non è soltanto il dispiegarsi della fantasia, è piuttosto un ingresso (non la creazione), a una dimensione immaginativa che dona respiro alla materia nella quale il soggetto è immerso, e ne converte il suo stesso valore.
“Là dove l’immaginazione è potente la realtà diventa inutile” (Durand). Ciò nonostante non impedisce al giocatore di mantenere un occhio sulla realtà. Non chiude la coscienza come il dormiente, e non si chiude in un mondo solo immaginario come il delirante, ma rimane nell’ambivalenza. Senza opposizione tra reale e immaginario ma in convivenza contemporanea e continua.

Il tempo nel gioco
“Il corso del mondo è un fanciullo che gioca a scacchi, egemonia del fanciullo.” Eraclito
Lo conosciamo come “il corso del mondo”, spesso viene anche tradotto come Aion “il tempo vitale”, ”il tempo della vita umana”. Il dinamico Eraclito ci offre un’immagine mercuriale che scorre in questa breve metafora: non ci è consentito di restare in una visione idealizzata del bambino o del tempo, ci mette di fronte all’immagine capricciosa e autoritaria di essi. Il fanciullo prepotente riconduce allora all’egemonia del tempo e della durata. Egemonia del Tempo che l’immaginario non accetta, e alla quale darà lo spazio che merita, anzi darà allo Spazio nuova forza.
Compito dell’immaginario, che Durand chiama “la funzione fantastica”, è trascendere il tempo. La funzione fantastica:
“Privilegia lo spazio ed evira il cupo potere del Tempo. Ristabilisce un ordine rispetto al caos di fronte al quale ci getta la morte. È il metodo che segue per ristabilire l’ordine, e questo metodo è impresso nel mito. Il mito contiene in sé un principio di difesa e di conservazione che comunica al rito. I rituali (quelli sacrificali degli antichi messicani, o i funerali) hanno la funzione di addomesticare il tempo e la morte e di assicurare nel tempo la perennità e la speranza. Lo stesso vale per tutte le attività estetiche, dalla cosmetica al teatro, passando per la coreografia, la scultura, le maschere e la pittura.” (Durand)
Quando Kronos ci provoca, tutto l’immaginario si attiva nella produzione. Per Durand la struttura dell’immaginario è fatta dall’attivazione dei meccanismi di risposta alla percezione della fragilità e dell’angoscia dinanzi al tempo. L’immaginazione trascende il tempo cronologico e ci fa conoscere gli altri tempi: Aion, Kayros e l’eterno ritorno. Relativizzando il tempo, privilegia lo spazio. E lo spazio è il contenitore in cui il fantastico prende forma. Perdendo il tempo la sua carica, è lo spazio che viene investito di energia, aprendo la sensibilità alla funzione fantastica come il bambino che procede nel gioco, all’interno del cerchio magico.

La musica
La produzione fantastica ci mette in rapporto con il tempo nell’illusione di possederlo, di comprenderlo. Un bambino che ripete il gioco che gli piace, o che si fa ripetere una storia narrata mille volte, viene rinforzato dalla sensazione di conoscere lo sviluppo totale della narrazione. E con esso la domina. Sa come inizia il racconto, sa come si apre la trama e si sviluppano le incognite centrali, e sa transitare lieto verso l’arrivo del finale. La musica, come la fiaba o il mito, sono il prototipo di superamento del tempo nella produzione fantastica. Dominare la storia, la pièce teatrale, vedere il dipinto di fronte a noi, eseguire un brano, rappresentare un personaggio sono un modo di porsi al di sopra di una durata.
Però non è solo il possesso della forma compiuta, ciò che vince sul Tempo. Durand dirà sulla musica:
“Essa è al più alto grado, incrocio ordinato di timbri, voci, ritmi, di tonalità sulla trama continua del tempo. La musica implica un dominio del tempo. Il compositore produce nel tempo una cosa che nella sua unità, in quanto avente un senso, è atemporale.”
Il “senso” nel racconto di una fiaba, una musica, un mito, una danza, insiste e usa la risorsa della ripetizione. Il sincronismo è legato alla sintesi e alla ripetizione, fino a raggiungere la dimensione stessa del “Grande Tempo”. Dove la qualità dei simboli è tanto importante quanto la relazione ripetuta tra di essi. Quando troviamo una canzone che ci rappresenta non troviamo in essa un semplice ritornello che ci attira, ma è la musica, alla quale si aggiunge un senso verbale, profondo, incantato; banale senso verbale catturato dal ritmo musicale, grazie al quale diviene capacità magica di cambiare il nostro mondo.
Lo Spazio del gioco
In questo periodo le nostre attività si sono spostate nello spazio virtuale. Dobbiamo stare più ore online, cedere a Internet e alla virtualizzazione del reale. Il rapporto con lo spazio digitale cambia e ci interroga. Da una parte lo spazio virtuale ci meraviglia, metafora dell’invisibile, dell’immaginario. Il virtuale sa entrare in dialogo attraverso le immagini. Questo rapporto spaziale aperto, illimitato, immateriale, ha qualcosa in comune con la scena di un gioco in piazza, con un setting mirato a sviluppare la conoscenza creativa di un bambino o di un adulto. L’uomo è la prima macchina virtualizzante, di qui l’informatico non è che imitazione. La macchina virtualizzante umana è il soggetto conoscente.
Ma che succede con internet quando l’immaginario diventa pigro e condizionato, dove speso ci viene offerta un’associazione d’idee sempre simili, sempre collegate tra loro, e che condizionano il nostro immaginario?
Il comunicatore mercuriale, Ermes, ci dovrà venire incontro, per aiutarci a sorprendere, rompendo la catena d’immagini condizionate e condizionanti dell’algoritmo dei social media. Avremo bisogno di uno sguardo critico e aperto al dissimile che conquisti lo spazio virtuale e per mantenerlo come uno spazio di gioco, di creazione, e non di promotore del bisogno di ripetizione e consumo. Per questo il lavoro danzaterapeutico, di gioco-danza, deve fare lo sforzo di trovare in questa situazione transitoria un suo spazio nel mondo virtuale e sostenere la sua vocazione di creatività e apertura al mondo invisibile, sostenere il rapporto con l’immaginario per coltivare la sua intelligenza invece che addomesticarla per indirizzare le scelte di consumo.
La proposta di setting creativo online ha le sue limitazioni, ma non perde le caratteristiche fondamentali del gioco: appartenenza a un gruppo e coltivare l’immaginazione. L’esercizio della reverie si svolge davanti allo schermo, pero è l’immagine degli altri nella propria stanza, nella propria casa, spazio più intimo che giocare in una piazza o in una sala di danza. Questo fa si che lo spazio virtuale diventi una sala pubblica fatta degli spazi domestici della intimità quotidiana. In questa situazione entro con lo spazio che mi appartiene a fare parte del cerchio magico incantato dove si svolgerà l’attività. E come sempre, Il cerchio si dimostra un luogo sicuro dove giocare, è datore di un linguaggio comune. Il soggetto deve “entrare” nella rete come nel gioco, non si crea lo spazio del gioco, si accede. L’entrata nella rete ha un rito ben marcato: l’ingresso alle stanze virtuali, e come in altri spazi destinati al gioco creativo, va curato perché si possa costituire il setting che consente poi di abbandonarsi all’immaginazione. Il gioco richiede sempre un abbandono a un grado di realtà indipendente del soggetto.
Lasciamo il campo virtuale e facciamo un focus sulla caratteristica collettiva del gioco. Il gioco, come lo stato creativo dell’artista, non è uno stato pervasivo, ma uno stato delicato e fragile, da proteggere dalle interferenze esterne e dal giudice interno, dal critico, e dal cinico. Nel suo essere collettivo il gioco è superiore alla creazione dell’artista, perché il gioco è condiviso, a differenza della reverie, del sogno o della creazione estetica che sono individuali. I gruppi di artisti che perseguono la creazione collettiva, il collettivo artistico, dimostrano la reminiscenza nostalgica della democrazia del gioco. Il gioco, come la creazione artistica, (ma più di essa, perché il gioco rimane aperto, mentre la creazione artistica è già compiuta), sono entrambi mondi esposti. Gli altri possono entrare per condividerlo o distruggerlo. Il gioco e la danza – ridando forza allo spazio – mettono in risalto il bisogno attuale di sentirci al riparo. Il luogo dove si crea e si gioca è la metafora che oggi l’immaginario ci chiede: abbiamo bisogno di rifugio.
Il gioco, il setting creativo, si svolgono in un temenos, un giardino incantato, il recinto sacro. Temenos, che deriva dal verbo τέμνω, (“tagliare”) rappresenta un appezzamento di terreno che viene espropriato ed assegnato a capi o regnanti, oppure riservato al culto di un dio o alla costruzione di un santuario. Erano temène ad esempio, i luoghi in cui si svolgevano i giochi pitici.
Il Gioco pitico era uno dei quattro Giochi panellenici dell’antica Grecia, precursori dei Giochi Olimpici, che si disputavano ogni quattro anni in onore di Apollo, a Delfi. Sono stati fondati all’incirca nel VI secolo a.C. e si sono svolti dal 582 a.C. fino al 384 d.C. A differenza dei Giochi Olimpici, questi prevedevano anche competizioni per musicisti e poeti.
Questo spazio oltre a delimitare il luogo sacro, divideva ciò che era da preservare e sacralizzare, da ciò che non lo era, essendone al di fuori. All’interno del temenos greco, si stava al sicuro, era un rifugio, perché non si poteva essere uccisi o catturati, essendo uno spazio sacro.

La danza
Nei laboratori creativi online ci siamo fatti aiutare dagli oggetti – reali e immaginati – per mantenere viva la tensione tra il virtuale e la materia. “Mai il cubo percepito sarà così spontaneamente cubo quanto l’oggetto immaginato” (Durand). L’oggetto immaginato è immediato. È questa “povertà essenziale” che sostiene la sua primazia. Rappresentare, materializzare un’immagine con la danza, incorporare un intuito visualizzato nella reverie, in due parole immaginare attivamente, diventa un modo di ristabilire reciprocità tra corpo e immagine. L’immaginario è materiale e dinamico. Ha bisogno di oggetti, corpo e movimento.
Il rapporto con gli oggetti, durante il workshop online, diventa essenziale a ricuperare la materialità del corpo. È sufficiente che la materia si offra come supporto delle proiezioni. La materia sono gli oggetti che cambiano forma grazie alla manipolazione o all’immaginazione. Come per un bambino il pezzo di legno diventa spada, cavallo, bambino, il rapporto materiale con gli oggetti e con lo spazio aiuta a recuperare la fisicità, e l’uso dello spazio può diventare danza. Il danzante ha come materia la carne, il corpo. “Il mio corpo è fatto della stessa carne del mondo”, diceva Merleau-Ponty. E il corpo che danza ha continuità con il mondo. Provocatore della materia e della gravità, domina il mondo modificando le forme, abbandonandosi al gioco di equilibri e di piacere motorio.
«Nel movimento, nella danza posso sentire che il peso del mio corpo fa parte dello spazio che mi circonda, è in continuità con lo spazio che mi contiene e che mi aiuta a creare il mio equilibrio. Di fronte a uno stato d’animo negativo la prima cosa che si perde è sempre la sensazione di equilibrio, così legata alla stabilità. Per quello è così importante costruire ogni giorno un equilibrio interno (psicofisico) ed esterno (nello spazio) attraverso il quale posso sentire che, anche se molte cose si modificano il mio spazio continua ad avere dei limiti chiaramente delineati. Questa sensazione di equilibrio mi fa sentire parte dello spazio integrale che mi circonda e posso sentirmi sostenuta da esso, creando successivamente nuovi equilibri in risposta a situazioni che potrebbero destabilizzarmi». Maria Fux
Il corpo in movimento condivide con il mito il tentativo continuamente inefficace di discorso lineare, con ripetizioni e ritornelli. Nelle evoluzioni motorie ridondanti, si trova la forza sintetica della unione degli opposti, d’integrazione dei componenti inaccettabili come la caducità. Ogni improvvisazione motoria, come ogni mito è una ricerca del tempo perduto che carica lo spazio: è, soprattutto, sforzo comprensivo di riconciliazione con un tempo poetizzato. Con la morte vinta o tramutata in avventura infinita.

Conclusione
Il tempo sospeso della quarantena ci ha portato a ripristinare il rapporto col tempo, lo spazio, il web.
Per Laban il movimento senza tempo è il movimento che privilegia lo spazio, il flusso e il peso. È una spinta alla trasformazione. Nel lavoro danzaterapeutico durante la pandemia, la consapevolezza di questo ridimensionare il nostro rapporto col tempo e con le qualità motorie, è stato fonte di speranza e ottimismo nel transitare il disagio.
Sono il sognatore, il bambino e il poeta quelli che sanno scavalcare il tempo. La reverie, il gioco e l’arte conoscono i capricci del racconto vitale nel quale siamo immersi. Tutti conosciamo la prima parte dei versi della Tempesta: “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”, ma la seconda parte un po meno perché ci rimanda alla fugacità: “e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra vita”. Pero c’e Shakespeare in entrambi i lati del verso come c’è poesia nella cruda esperienza della pandemia.
Del corso del mondo, non siamo padroni. Un bambino capriccioso, o il tempo divoratore giocheranno il loro gioco nel nostro tempo vitale. L’immaginazione è in esso sempre vigile ed efficace.
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Questo elaborato è il prodotto dell’esperienza dei workshop online e dei webinar tenutisi durante il primo lockdown e il periodo di chiusura delle scuole di danza e centri danza terapia, chiusura ancora in vigore.
I laboratori:
Immunitas e communitas: con l’arrivo della pandemia la definizione di comunità non ha fatto altro che stabilire i confini e chiudere le porte per evitare il contagio. Il lavoro è centrato sulla capacità relazionale, la “bolla” e lo spazio personale, lo spazio sociale e lo spazio virtuale. Il rapporto con l’altro come “l’altro che mi può contagiare”, viene ridimensionato attraverso giochi motori virtuali.
Obiettivo del nostro lavoro è ripensare i nostri legami, aggiornare la nostra capacità prosociale, farci responsabilmente inclusivi, anche in questi giorni.
Il Tempo sospeso: esplora il rapporto con la qualità motoria “Tempo” e i significati di tempo opportuno, tempo vitale ed eterno ritorno, incarnato e dinamico.
Poetica dello spazio: esplora la qualità motoria “Spazio”, gli archetipi della casa e del rifugio, il valore simbolico dei mobili e degli oggetti.
Le tre trasformazioni: basandosi sul testo di Nietzsche “Cosí parlò Zarathustra”, si esplorano le qualità motorie, il rapporto con la legge, il desiderio e la creatività.
Fine del gioco: sulla traccia dell’omonima storia di Cortazar si percorrono le tappe della costruzione del Cerchio Magico, il setting creativo e il piacere motorio contenuto nel gioco e nella danza.
Laboratorio per bambini: “Io posso”: centrato sul “fare finta” davanti alla telecamera. L’obiettivo è usare lo schermo del pc, le finestre individuali dello schermo condiviso dato dalla piattaforma informatica, come stimolo creativo. Dare ai bambini l’opportunità di avere uno sguardo responsabile e positivo sulle restrizioni che le nuove regole richiedono, ma esplorare anche le possibilità che esse offrono.
Bibliografia:
“La struttura antropologica dell’immaginario” Gilbert Durand – Edizioni Dedalo
“La Poetica dello Spazio” Gaston Bachellard – Edizioni Dedalo
“La poetica della Reverie” Gaston Bachellard – Edizioni Dedalo
“L’uomo e i suoi simboli” Carl Gustav Jung – Bollati Boringhieri
“Simboli della trasformazione” Carl Gustav Jung – Bollati Boringhieri
“Fenomenologia della percezione” Maurice Merleau-Ponty – Il Saggiatore